Cosa succede alla Rai, dall'inizio
Un anno della nuova Rai, le notizie dal mondo e l'intervallo di oggi
Oggi è domenica 21 aprile e questa è Occhiaie, la newsletter di Generazione edita da Benedetta Di Placido e Nicoletta Ionta.
Ciao,
avrete sicuramente notato l’assenza di Occhiaie nella vostra casella mail questa mattina: siamo qui con delle spiegazioni. Ieri sera, dopo aver confezionato per voi una newsletter piuttosto lunga, il software a cui ci affidiamo per la pubblicazione ha deciso di eliminarla per metà. Eccoci, quindi, con Occhiaie versione tardo pomeriggio.
Iniziamo.
La settimana dal mondo
Sabato 13 aprile, l'Iran ha lanciato un attacco su Israele, la maggior parte dei missili è stata intercettata e solo pochi hanno raggiunto il territorio israeliano. In risposta, Israele ha attaccato l'Iran con droni il venerdì successivo, con poche o nessuna conseguenza per l'Iran. Entrambi gli attacchi sembrano essere stati limitati, indicando una volontà da entrambe le parti di evitare una guerra, ne ha parlato un articolo de Il Post qui.
Mercoledì si sono tenute le elezioni parlamentari in Croazia: il partito di centrodestra Unione democratica croata (HDZ), sotto la guida del primo ministro uscente, Andrej Plenković, ha vinto alle elezioni con il 34% dei voti, ma non ha ottenuto la maggioranza parlamentare.
Armenia e Azerbaijan hanno concordato il ritiro armeno da quattro città azere lungo il confine, controllate dall'Armenia dagli anni Novanta. Si tratta di un primo progresso nei colloqui di pace tra i due paesi nel contesto del conflitto per il Nagorno Karabakh. Della questione avevamo parlato qui.
Questa settimana, Bruxelles ha ospitato la NatCon, la National Conservatism Conference, che ha suscitato notevole dibattito. Emir Kir, sindaco del quartiere centrale di Bruxelles e membro del Partito Socialista, ha ordinato la chiusura dell'evento, citando problemi di sicurezza e ordine pubblico. La decisione è stata ampiamente condannata dal Primo Ministro belga De Croo e da Giorgia Meloni. Di più qui.
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, dell'Alleanza Verdi e Sinistra, hanno annunciato in una nota che l'Alleanza, in accordo con Roberto Salis, ha scelto di candidare sua figlia Ilaria Salis nelle proprie liste per le prossime elezioni europee.
Un anno della nuova Rai
Il 15 maggio 2023 il consiglio di amministrazione della Rai ha approvato la nomina di Roberto Sergio come nuovo amministratore delegato. L’uscita del suo predecessore era stata un po’ macchinosa: Carlo Fuortes era stato caldamente invitato a dimettersi, dopo che il governo gli aveva fatto intendere di volerlo rimuovere dal suo incarico. Su questo aveva scherzato Fiorello, facendo capire che quel cambiamento - come poi è stato - avrebbe portato non poche novità. La prima tra tutte è arrivata immediatamente dopo la nomina di Sergio, esattamente il giorno stesso. Dopo 20 edizioni del suo programma “Che Tempo Che Fa”, Fabio Fazio ha annunciato il suo trasferimento sul canale Nove, di cui è editore Discovery Italia, divisione del gruppo Warner Bros. Discovery.
La scelta era stata piuttosto criticata: Che Tempo Che Fa è stato più volte spostato di canale (tra Rai 1, Rai 2 e poi Rai 3), per dargli più o meno visibilità, riuscendo però ad avere sempre ottimi risultati di ascolti e raccolta pubblicitaria. Che Fabio Fazio e il suo programma fossero considerati da alcuni esponenti del governo come una minaccia progressista non è un segreto: Matteo Salvini aveva commentato così la notizia del trasferimento del programma sul canale Nove.
Dopo Fabio Fazio anche Lucia Annunziata e Bianca Berlinguer hanno annunciato di lasciare la Rai, senza riprendere i propri programmi altrove. I successivi mesi estivi - tra la nomina di Sergio e l’inizio delle nuove trasmissioni a settembre - sono serviti per organizzare un palinsesto nuovo, spostando conduttori, togliendo loro i programmi di cui erano gli storici volti, invitandone altri ad abbandonare l’azienda.
Settembre è, da sempre, il momento in cui riparte il palinsesto televisivo di tutte le reti, con programmi nuovi o nuove edizioni dei soliti. La nuova Rai ha inserito alcuni volti notoriamente amici del governo - o precisamente di Giorgia Meloni - a condurre alcuni programmi: in particolare, a Pino Insegno è stato affidato “Il mercante in fiera”, di cui era già stato conduttore nel 2006. È stato trasmesso dal 25 settembre su Rai 2, dal lunedì al venerdì tra le 19:50 e le 21:30. Il giorno del debutto ha registrato il 3,4% di share, che due giorni dopo era già sceso al 1,91%. Aldo Grasso, noto critico televisivo, aveva commentato così il programma: «Pino Insegno, un programma vecchissimo che guardano solo amici e parenti». Intanto, i programmi che andavano bene venivano rinnovati fino all’esasperazione, in particolare Reazione a Catena, tipicamente estivo, è stato rinnovato fino a natale.
Mentre Che tempo che fa iniziava ad ottenere ottimi risultati, nonostante il cambio di rete, a Pino Insegno viene tolta l’annunciata e promessa conduzione de “L’Eredità”, che viene invece affidata a Marco Liorni, già conduttore di Reazione a Catena. Secondo lo Studio Frasi, che si occupa di ricerche sui mass media, dall’anno precedente la Rai ha perso oltre 200mila telespettatori, il 6,8% del totale. Lo studio si può consultare qui. Nel frattempo annuncia di lasciare la Rai anche Corrado Augias, dopo più di sessant’anni. Augias si sposta di rete, andando a La7, dove conduce oggi il programma “La torre di Babele”, in onda una volta alla settimana in prima serata.
Siamo ormai a dicembre e Bruno Vespa e Francesco Giorgino comunicano di voler creare un nuovo sindacato per i lavoratori della Rai, che sia di destra. L’obiettivo, dicono, è di opporsi all’USIGRAI, il sindacato unico che hanno definito «egemonizzato da giornalisti di sinistra». Attorno alla creazione di questo nuovo organo si erano riuniti circa 270 giornalisti, che a dicembre si sono incontrati per la loro prima assemblea. Nonostante questo, la creazione del sindacato è caduta abbastanza nel dimenticatoio perché farlo non è poi così facile: ne ha parlato qui Il Post.
A gennaio iniziano ad incatenarsi una serie di eventi piuttosto chiarificatori rispetto alla linea editoriale che il governo aveva scelto - e ancora oggi persegue - per la Rai. Va in onda, durante un edizione delle 13:30 del Tg1, un criticato servizio su una commemorazione dei patrioti italiani, celebrata dentro il cimitero del Verano, a Roma. La ricorrenza è osservata da quarant’anni, ma sostanzialmente è partecipata solo dai gruppi giovanili dei partiti di destra - nello specifico, oggi, dall’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia. Durante il servizio la commemorazione viene fatta passare per una necessaria quanto normale ricorrenza storica, cancellando la provenienza e la cultura politica di chi organizza quel momento, definendola: «non politica ed elevata a evento patriottico culturale». Ovviamente, tra i vari patrioti ricordati, non c’era traccia dei partigiani o di qualsiasi altra forma di resistenza e lotta al regime nazi-fascista. A riguardo si era espresso Sandro Ruotolo, responsabile dell’Informazione nella segreteria nazionale del Partito Democratico, dicendo: «Definire non politica una iniziativa dei giovani di Fratelli d’Italia, come è accaduto nell’edizione odierna del TG1 è far torto alla professione di giornalista. Una cosa è la propaganda altro è il giornalismo. E il TG1 è diventato il megafono per eccellenza di TeleMeloni».
A febbraio, se possibile, le cose peggiorano. Con il Festival di Sanremo, condotto per l’ultima volta da Amadeus, molti degli artisti in gara utilizzano il palco per lanciare dei messaggi contro la guerra in Palestina. In particolare, Ghali lo fa in modo sfrontato ed evidentemente scomodo per il nuovo gruppo dirigente sottoposto al governo. Definisce, al termine della sua esibizione, quello che accade in Palestina come un «genocidio». Sul momento pare che tutto scorra silenziosamente e che a Ghali venga garantita la libertà di dire e annunciare quel che vuole. In realtà, la domenica successiva al Festival, durante la trasmissione “Domenica In” condotta da Mara Venier - che tipicamente va in onda dall’Ariston - Ghali si esibisce e intraprende di nuovo una discussione sul tema della guerra, stavolta andando più in profondità, con i giornalisti presenti in sala. Oltre all’imbarazzo di Mara Venier, che con grande difficoltà tenta di interrompere quella conversazione, la Rai le consegna una nota di Roberto Sergio da leggere al termine della diretta. Il comunicato si può recuperare qui. Forse per la prima volta, in modo evidente e poi virale, diventa chiara la presenza invadente di un nuovo gruppo dirigenziale, reso palese da un intervento così inusuale durante una trasmissione in cui - da sempre e per prassi - non ci sono interruzioni per scusarsi o spiegare qualcosa che è appena andato in onda.
A quel punto, le già numerose proteste contro le posizioni del governo rispetto alla guerra in Palestina e, più in generale, contro il conflitto stesso, si uniscono alla presa di posizione della Rai. Molti dei cortei vengono spostati sotto le sedi locali dell’azienda, finendo ben più di una volta in scontri con la polizia o repressione violenta delle proteste pacifica. La polizia ha risposto violentemente ai cortei di Roma, Torino, Pisa, Napoli, Firenze e Bologna.
Più o meno durante questi stessi giorni, si solleva una polemica parallela legata alla presunta censura - nell’ambito della fiction Rai “Gloria” - di un bacio tra due uomini. Sembra un caso, molti non lo considerano tale, ma durante quel momento uno dei due attori porta un grande cappello nero davanti al proprio viso, rendendo impossibile la visione del bacio. Molti scambiano il cappello per un bollino nero, di quelli che in passato erano utilizzati molto più spesso, e - nonostante così non fosse - diventa l’occasione per ritornare sulla lunga storia dell’azienda con le censure. Qui c’è un buon articolo che ricapitola tutto.
Una decina di giorni fa, in modo abbastanza inaspettato, il sindacato dei giornalisti Rai (quello che esiste e non il vano tentativo di Vespa), diffonde - anche attraverso i telegiornali - un comunicato. Il testo, che si recupera qui, fa riferimento all’ultima normativa approvata dai rappresentanti del governo nella Commissione di Vigilanza, che punta a modificare la legge sulla Par Condicio con l’obiettivo di garantire ai membri del governo maggiore copertura mediatica in vista delle elezioni europee. Viene loro concesso tempo illimitato per esporre i propri programmi e punti, senza un obbligato contraddittorio e senza la presenza di un giornalista che possa commentare e indirizzare il dibattito. Per tutti, la lettura durante i telegiornali di un comunicato contro l’azienda stessa che rende possibile quel telegiornale, diventa un ulteriore segnale dell’andamento delle cose.
Intanto, sulla stampa nazionale, si parla molto dell’emendamento al disegno di legge per l’attuazione del PNRR, che dà legittimità a livello nazionale all’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori. A discutere di questo, durante la trasmissione “Porta a Porta”, condotta da Bruno Vespa - mi sembra - da circa novecento anni, si accomodano attorno ad un tavolo 8 uomini. Nonostante abbiano attirato le, comprensibili, proteste di diverse persone, non sembra che l’intenzione del governo sia quella di interrompere questo esasperante tour de force.
Un paio di giorni dopo, venerdì 19, Serena Bortone - conduttrice del programma di Rai 3 “Che sarà” - pubblica su Instagram un post in cui spiega che nella puntata serale del suo programma non sarà presente Antonio Scurati, cui era stata affidata la scrittura e lettura di un monologo sul 25 aprile. Bortone spiega che non è riuscita ad ottenere da nessuna delle persone da lei contattate delle spiegazioni rispetto a questa scelta e che l’annullamento del contratto le pare, e noi possiamo concordare, solamente una forma di censura. La Presidente Meloni risponde all’inevitabile polverone su Facebook, dove condivide il contenuto del monologo sostenendo che non ci fosse nessuna forma di censura e che - anzi - le ragioni fossero unicamente di tipo economico: “la sinistra grida al regime, la Rai risponde di essersi semplicemente rifiutata di pagare 1800 euro (lo stipendio mensile di molti dipendenti) per un minuto di monologo». In realtà, viene successivamente diffuso uno scambio di mail in cui si evince che la ragione per cui è stato sottratto lo spazio televisivo a Scurati sia di tipo “editoriale”. Effettivamente, la conclusione del monologo è esplicitamente dedicata al governo in carica, di cui vengono tracciati con precisione i tratti distintivi: «La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana».
La ragione per cui Giorgia Meloni non riesce a pronunciare neppure una sillaba di quella-parola-lì, risiede probabilmente in tutte le mosse incatenate e feroci che hanno contraddistinto l’ingerenza del suo governo nella tv pubblica, solo nell’ultimo anno. Antifascista non lo è, quindi antifascista non la fa.
A cura di Benedetta Di Placido (@ben.detto)
Intervallo
Questa settimana ho visto la tanto attesa miniserie “Il Giovane Berlusconi”, diretta da Simone Manetti, che racconta la storia di Silvio Berlusconi, dagli inizi negli anni ‘70, con l'acquisizione delle prime reti televisive locali e la nascita di Milano 2, passando per gli anni '80 di Mediaset e l'AC Milan, fino ad arrivare alla nascita di Forza Italia.
Contrariamente alle mie aspettative di una biopic tradizionale, è l’utilizzo di materiale di archivio inedito e interviste esclusive con individui a lui vicini a parlare della sua storia, offrendo una panoramica della vita di Berlusconi e del contesto della società italiana degli anni '80 e '90.
Il Giovane Berlusconi è uscita l’11 Aprile in Italia, e si guarda su Netflix.
A cura di Nicoletta Ionta (@nicolettaionta)
Da Generazione
Il silenzio non è neutrale: in merito al banco scientifico del MAECI e alla cooperazione tra le università italiana e Israele - di Alice Melani
Ogni tre giorni muore una persona in carcere: è una strage di stato - di Jonathan Piccinella
Una vita più smart - Redazione Generazione
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