Oggi è domenica 15 ottobre e questa è Occhiaie, la newsletter di Generazione edita da Benedetta Di Placido e Nicoletta Ionta.
Ciao,
questo è uno dei numeri più difficili da quando abbiamo iniziato a scrivere questa newsletter.
Quello che è accaduto nei giorni scorsi in Israele e in Palestina, e che ancora sta accadendo, è difficile da spiegare e difficile da comprendere. Ci proviamo comunque, abbiate pietà.
La settimana dal mondo
Oggi, domenica 15 ottobre, in Polonia si terranno le elezioni parlamentari, che vedranno fronteggiarsi Jarosław Kaczyński, presidente del partito di destra radicale Diritto e Giustizia, e Donald Tusk, ex primo ministro e leader dell'opposizione.
In Slovacchia, l'accordo per il nuovo governo è stato raggiunto tra il partito populista Smer, guidato da Robert Fico, il partito HLAS di Peter Pellegrini e il conservatore/populista Partito Nazionale Slovacco.
Il ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin ha ordinato di vietare "le manifestazioni pro-palestinesi in quanto possono generare disturbi dell'ordine pubblico. Ha poi aggiunto che l'organizzazione di queste manifestazioni dovrebbe comportare l’arresto.
In Afghanistan, le scosse di terremoto continuano a verificarsi dopo che il terremoto dello scorso sabato ha causato oltre 2.400 morti. Giovedì 11, una nuova forte scossa è stata registrata a nord-nordovest di Herat, causando circa 50 feriti.
La NATO condurrà l'esercitazione nucleare "Steadfast Noon" la prossima settimana in risposta alla Russia, che minaccia di ritirarsi da un accordo globale di divieto di test nucleari.
Il presidente russo Vladimir Putin si è recato in Kirghizistan, nel suo primo viaggio all'estero dopo l'emissione dell'ordine di arresto da parte della Corte penale internazionale. Putin ha partecipato a una cerimonia presso la base aerea russa di Kant insieme al presidente kirghizo Sadyr Japarov.
Durante il viaggio, il Presidente russo ha preso parte al vertice della Comunità degli Stati indipendenti, organizzazione internazionale composta da nove delle ex repubbliche sovietiche.
Hamas e l’assedio della Striscia di Gaza
Nel pomeriggio di sabato 7 ottobre il gruppo palestinese Hamas ha attaccato Israele, con un capillare dispiegamento di missili, razzi e paracaduti. Hamas è un’organizzazione palestinese paramilitare, fondata nel 1987, inserita da molti - tra cui l’Unione Europea e gli Stati Uniti - tra le fila delle organizzazioni terroristiche.
Il suo scopo principale è quello di combattere lo Stato di Israele e riuscire ad istituire uno Stato palestinese. La violenza di Hamas e le sue modalità operative, lontane dalla diplomazia, sono spiegate nello Statuto di Hamas - di cui nei giorni scorsi si è discusso molto. E’ un documento che spiega modalità e intenti dell’organizzazione e che, soprattutto, indica la Jihad come modello operativo scelto.
Per Jihad il mondo islamico intende un ampio spettro di sforzi individuali e collettivi verso qualcosa, dalla lotta spirituale verso il miglioramento della propria fede, fino alla guerra santa contro gli infedeli.
Israele, invece, saprete cos’è - ma lo ricordiamo. Da molti è considerata l’unica democrazia del Medio Oriente, per altri è un regime d’Apartheid, cioè di oppressione sistematica o di “dominazione” di un gruppo razziale nei confronti di un altro, con l’intento di mantenere intatto il sistema vigente. C’è un interessante articolo di Internazionale che spiega perché il termine Apartheid per descrivere lo Stato di Israele è stato adottato gradualmente sempre di più. Si legge qui.
Israele nasce formalmente nel 1947-48. Con la risoluzione 181 l’Assemblea generale dell’ONU decide di dividere la Palestina in due Stati: uno ebraico e uno arabo. Quel che accade prima e dopo è complesso, ma fondamentale per la comprensione del ruolo dell’occidente in questa faccenda e - soprattutto - del dramma che la popolazione palestinese vive da Settant’anni e che ha dato vita a radicalizzazioni violente nella forma, ad esempio, di Hamas. A questo proposito consiglio due libri, per iniziare: «10 miti su Israele» di Ilan Pappé. Pappé è israeliano, uno dei «nuovi storiografi». In Italia è pubblicato da TAMU edizioni, che nei giorni scorsi ha reso il volume scaricabile gratuitamente come e-book: potete farlo qui. L’altro volume è «Israele, Palestina. La verità su un conflitto» di Alain Gresh, giornalista francese di origini ebraiche.
Torniamo sullo stato delle cose, su come procede il conflitto. Mentre scrivo Israele sta portando avanti un’operazione di «assedio totale» sulla Striscia di Gaza. Con questo si intende un’indiscriminato attacco ai civili tramite il lancio di missili. Oltre ciò, Israele ha privato la Striscia di corrente elettrica e di rifornimenti di vario tipo, da cui i palestinesi dipendono anche in tempi di pace, se c’è mai stata. Gli ospedali si stanno alimentando con dei generatori che però, ovviamente, garantiranno autonomia limitata. Molte persone, soprattutto famiglie, stanno usando le strutture sanitarie come rifugio, o perché sono sfollati o perché le percepiscono come più sicure delle alternative.
Intanto, in Israele, gli attacchi di Hamas proseguono. Nelle ultime ore - ma la situazione potrebbe essere cambiata quando leggerete - si stanno concentrando prevalentemente su Sderot, la città israeliana più grande tra quelle nei pressi della Striscia. Anche qui i miliziani di Hamas hanno preso degli ostaggi, avendo potuto condurre l’attacco via terra, che non è una modalità comune. In merito agli ostaggi, che sono stati presi da Hamas a partire dal primo giorno di conflitto, la minaccia è che verranno uccisi se Israele non interromperà immediatamente i bombardamenti su Gaza. A sua volta, il Primo ministro Netanyahu ha risposto che «ogni membro di Hamas è un uomo morto».
C’è poi un altro punto importante. Lo sbocco principale da cui i civili palestinesi potrebbero scappare è il valico di Rafah, un passaggio che collega la Striscia di Gaza con l’Egitto.
In una nota il Ministro degli Esteri egiziano ha detto che il passaggio non è mai stato chiuso dall’inizio del conflitto, sebbene le notizie abbiano affermato il contrario più volte. Al momento, però, è inagibile a causa dei raid israeliani. La nota prosegue con la richiesta ad Israele di evitare di prendere di mira il lato palestinese del valico, così da consentire loro di riparare i danni e tornare ad essere «un'ancora di salvezza per sostenere i fratelli palestinesi nella Striscia di Gaza». Il rapporto tra egiziani e palestinesi è di forte solidarietà. Per questo, la società civile e il governo egiziano stanno organizzando il passaggio di rifornimenti e beni di prima necessità, probabilmente gli unici su cui i palestinesi possono contare a breve termine.
In merito agli aiuti umanitari si è discusso anche del coinvolgimento europeo. Per qualche giorno si è fatto intendere che l’Europa volesse interrompere i sostegni alla Palestina, come ulteriore segnale di supporto ad Israele. La polemica nasce a seguito di un tweet di Oliver Varhelyi, commissario europeo per le politiche di vicinato e l’allargamento dell’Unione, in cui affermava che l’intero pacchetto economico destinato alla Palestina sarebbe stato revisionato nei suoi modi e mezzi d’impiego, comunicando l’immediata sospensione dei pagamenti finché non sarebbe stata completata la revisione.
Il nodo da sciogliere qui è la distinzione tra aiuti umanitari e questo budget europeo - per inciso, attivo da ben prima di questa più recente crisi. Il denaro contenuto in questo budget è consegnato direttamente al governo palestinese, l’OLP che lo impiega sulla base di accordi. Il supporto umanitario proveniente dall’Unione Europea, invece, non è veicolato dal governo ma da partner umanitari come ONU e ONG. L’UE garantirà alla Palestina questi sostegni finché le organizzazioni di riferimento rimarranno nel territorio, ha detto Janez Lenarčič - Commissario per la gestione delle crisi.
C’è un tassello importante di cui non abbiamo parlato, forse il più rilevante di tutti: il ruolo e la posizione che stanno prendendo i Paesi occidentali. Lo faremo più approfonditamente la prossima settimana, quando il conflitto avrà una mappatura più chiara.
Aspettando che il giornalismo italiano si riprenda e ricominci a fare degnamente il proprio lavoro, ecco qualche fonte utile per informarvi nei prossimi giorni:
Il Post, come sempre, fa un impeccabile lavoro storico e lessicale per raccontare le cose. La redazione aggiorna un live-blog in prima pagina sul sito in cui vengono postati aggiornamenti minuto per minuto. Vi segnalo anche Globo, il podcast gratuito dedicato agli esteri de Il Post, condotto da Eugenio Cau, con varie puntate su Israele e Palestina, anche recenti.
Motaz Azaiza è un giornalista palestinese. I suoi contenuti su Instagram sono particolarmente crudi e grafici, per cui attenzione. Ma se avete pelo sullo stomaco ho la sensazione che la verità sia lì.
Randa Ghazy, scrittrice, giornalista e responsabile regionale per i media area Medio Oriente, Nord Africa ed Europa orientale di Save the Children. Sta raccontando quanto sta accadendo sulla sua pagina Instagram. Potete seguirla qui.
Il Mondo è il podcast quotidiano gratuito di Internazionale. Giulia Zoli e Claudio Rossi Marcelli stanno raccontando molto bene gli eventi di questi giorni.
Valerio Nicolosi è un giornalista che si occupa di temi sociali, migrazioni e esteri. In questi giorni ha pubblicato dei reel in cui spiega la situazione con grande chiarezza, consigliando anche lui delle fonti affidabili.
Carolina Pedrazzi anche sta facendo un’ottima informazione. Lei in Palestina c’è stata spesso e conosce le cose di cui parla.
Cronache in diaspora è un podcast sulle vite della diaspora palestinese in Italia. Lo conduce Jamila Hassan.
Se capite l’inglese, il Guardian e Associated Press stanno facendo il lavoro più informato di tutti.
A cura di Benedetta di Placido (@ben.detto)
Intervallo
Turkmenistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan: sono cinque gli “-stan” dell’Asia centrale nati nel 1991 dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Sono questi i luoghi che Erika Fatland ha deciso di raccontare nel suo libro Sovietistan, pubblicato nell’autunno del 2014.
Erika Fatland oggi ha 40 anni ed è una scrittrice e antropologa norvegese. Nel 2012, ha intrapreso un viaggio di 8 mesi, con prima tappa in Turkmenistan, un Paese che non consente l'ingresso ai giornalisti e limita la permanenza dei turisti a sole 3 settimane. Secondo l’indice di Freedom House, ONG che conduce ricerche e attività di sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani, il Turkmenistan registra un punteggio di libertà globale di 2/100, classificandosi quindi come “Non libero”. Per fare un paragone, la Nord Corea, di cui sentiamo parlare molto di più, ha un rating di 3/100.
Sovietistan si posiziona a metà tra un testo socio-politico e un racconto di viaggio. Sono le voci delle persone, i loro pensieri, le loro opinioni politiche, sussurrate a bassa voce, per paura di essere ascoltati, a ricostruire la storia recente, e a fornirci gli elementi per orientarci nella vita delle periferie dell’ex URSS. C’è Aslan, la guida turkmena pronta a glorificare il Presidente Berdimuhammedow; c’è Alexander, il pensionato kazako con un passato in Cecenia e in Afghanistan; Muqim, professore di inglese tagiko che sogna New York.
Tra un viaggio nel deserto del Karakum, o su treno di trentasei ore verso quello che rimane del Lago d’Aral, ormai scomparso dopo il processo di ritiro delle acque causato dallo sfruttamento per la produzione intensiva di cotone, o ancora, tra un palio di cavalli ad Ashgabat, e le moschee di Samarcanda, cuore della Via della Seta, e tra le città più antiche di sempre, Fatland riesce a restituirci dei piccoli pezzi di una delle regioni più misteriose e ricche di storia del mondo.
In Italia Sovietistan è edito da Marsilio, tradotto da Eva Kampmann. Puoi trovarlo qui.
A cura di Nicoletta Ionta (@nicoletta.ionta)
Da Generazione
Questa settimana ci siamo occupatə prevalentemente della questione israelo-palestinese, ma non solo. Ecco quello che potresti esserti persə:
Il Marrageddon conferma che il rap è una voce del popolo - di Carola Speranza
La guerra ha sempre delle conseguenze. Un bilancio di morti e feriti per comprendere le proporzioni del conflitto israelo-palestinese - di Matteo Fantozzi
Questo è ciò che accade quando si rinchiudono 1.5 milioni di persone in una striscia di terra - di Benedetta Di Placido
Le manganellate di Torino non sono una novità. Reprimere con la violenza è un dictat che piace alla destra - di Matteo Fantozzi
Cosa significa che in guerra ci sono delle regole? - di Benedetta Di Placido
Speriamo di avervi fatto capire qualcosa in più. In ogni caso, Occhiaie torna domenica prossima alle 9:30.
Un grazie a chi ci legge e chi ci aiuta qui e lì. Grazie anche alla Redazione.