Che Iran vorrebbe Israele?
Uno simile a quello che precedeva la Rivoluzione Iraniana, se possibile ben sottomesso all'Occidente
Oggi è domenica 15 giugno e questa è Occhiaie, la newsletter di Generazione curata dalla sua redazione.
In questo numero di Occhiaie, un po’ lungo e che va dritto al punto, cerchiamo di capire come sia possibile tenere segreti otto mesi di pianificazione da parte dell’intelligence e delle forze armate israeliane. Ma anche cosa significa intraprendere una guerra per riportare l’Iran al 1979: utile, piegato e sfruttabile.
In questi giorni difficili, molto intensi e in cui è complesso destreggiarsi per comprendere cosa accade, stiamo seguendo tutte le notizie qui. Ma anche su Quarantasette, la nostra newsletter che parla di Stati Uniti.
Iniziamo.
Una dichiarazione di guerra
Israele ha lanciato un’offensiva su larga scala contro l’Iran nelle prime ore di venerdì 13 giugno 2025, portando il conflitto regionale a un livello di intensità mai visto prima. L’attacco, pianificato con precisione chirurgica, ha colpito Teheran e altre zone strategiche del paese, prendendo di mira siti direttamente collegati al programma nucleare iraniano e centri di comando militari.

Le esplosioni, secondo fonti locali e internazionali, hanno scosso la capitale e numerose aree limitrofe. L'obiettivo, dichiarato ma evidentemente carico di ulteriori implicazioni geopolitiche, era quello di neutralizzare infrastrutture critiche e figure chiave del sistema di difesa iraniano.
Tra gli obiettivi figurano le abitazioni di alti funzionari militari, nonché dirigenti e tecnici legati allo sviluppo nucleare e alti comandanti della Guardia Rivoluzionaria. Non si è trattato, quindi, di una semplice azione tattica. È stata una dichiarazione aperta di guerra. La televisione di stato iraniana ha confermato che diversi alti quadri del potere sono stati uccisi, incluso il comandante in capo dell’IRGC, Hossein Salami, uno degli uomini più potenti del paese.
Secondo il New York Times, almeno sei basi militari intorno a Teheran sono state colpite, tra cui il noto complesso militare di Parchin, simbolo del potenziale bellico iraniano. Le immagini trasmesse in diretta dalla tv di stato iraniana non lasciano spazio ai dubbi: due edifici residenziali completamente rasi al suolo, vittime civili tra cui almeno un bambino, e una popolazione in stato di shock, in una capitale paralizzata dalla paura e dalla rabbia.
L’operazione israeliana “Rising Lion”
Secondo quanto riportato da Axios, l’operazione è il risultato di otto mesi di pianificazione segreta da parte dell’intelligence e delle forze armate israeliane. L’operazione è stata battezzata “Operazione Leone Nascente”, con la consueta retorica aggressiva di Netanyahu. L’ha definita un “attacco preventivo”, giustificato dalla presunta necessità di fermare la corsa dell’Iran verso l’arma nucleare. Ma ciò che Netanyahu ha descritto nel suo discorso non è un’azione difensiva: è un’offensiva pianificata e prolungata, una guerra su larga scala. Ha promesso che l’operazione continuerà “per tutti i giorni necessari”, finché Teheran non sarà ridotta all’impotenza. Tra gli obiettivi ufficialmente annunciati: l’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz, figure chiave della ricerca nucleare iraniana, e centri di produzione missilistica. In altre parole: decapitare il programma strategico iraniano alla radice.
Israele e gli Stati Uniti non si accontentano di “fermare il programma nucleare” iraniano o “neutralizzare le minacce regionali”. Il loro vero obiettivo, mai detto apertamente ma ormai evidente, è quello di riconsegnare l’Iran a uno stato di servitù geopolitica, riportandolo indietro nel tempo, a prima del 1979, quando il Paese era ancora sotto il giogo dello Scià Reza Pahlavi, alleato fedele di Washington e di Tel Aviv, simbolo vivente della svendita della sovranità nazionale all’Occidente. Allora l’Iran era una monarchia assolutista mascherata da modernizzazione, dove l’élite viveva nel lusso mentre la polizia segreta, la famigerata SAVAK – addestrata dalla USA e Israele – torturava dissidenti, studenti, operai, contadini, e chiunque osasse sognare un Paese indipendente. Il leone e il sole stampati al centro della vecchia bandiera erano emblemi di uno Stato costruito sull’arbitrio, la repressione e la complicità con l’imperialismo occidentale.

Oggi, Israele e i suoi sostenitori a Washington vorrebbero resuscitare quel cadavere politico, rianimare il vecchio Iran “utile”, piegato e sfruttabile, magari installando un governo fantoccio fedele ai loro interessi economici e militari. È l’ennesima operazione di restaurazione coloniale mascherata da “liberazione”. Con un solo intento: sottomettere un’intera nazione, annullarne la volontà popolare e renderla di nuovo un appendice del potere occidentale, come lo era quando il petrolio iraniano arricchiva le multinazionali americane e inglesi, e il popolo moriva di fame.
La risposta Iraniana
L’Iran ha avviato, nella tarda serata del 13 giugno, l’operazione True Promise 3, colpendo decine di obiettivi militari e basi aeree in tutto il territorio israeliano. L’attacco ha incluso un massiccio lancio di missili contro Tel Aviv, che ha provocato diversi impatti diretti (penetrando l’Iron Dome), tra cui un colpo devastante al quartier generale dell’esercito israeliano.
Secondo fonti iraniane, le difese aeree sono rimaste operative per tutto il giorno nella capitale Teheran e nelle aree strategiche in prossimità degli impianti nucleari, mentre i bombardamenti israeliani proseguivano con intensità su città come Tabriz, Kermanshah, Hamedan, Qasr-e Shirin e Kangavar. La guerra, descritta da un ufficiale dell'esercito israeliano non più come un'operazione ma come “una guerra pianificata, a 1.500 chilometri da Israele”, ha provocato la morte di 78 iraniani, tra cui 20 bambini e oltre 400 feriti confermati.
Parallelamente, le Forze Armate Yemenite, alleate dell’Iran, hanno colpito obiettivi all’interno di Israele con missili balistici, facendo suonare le sirene d’allarme anche nella Gerusalemme occupata. Israele si è trovata così sotto assedio da più fronti, segno evidente che il conflitto ha già oltrepassato i confini bilaterali e sta assumendo una dimensione regionale.
A peggiorare ulteriormente la situazione, Teheran ha sospeso tutti i voli interni e internazionali, chiudendo de facto lo spazio aereo del paese. Il Leader Supremo iraniano Ali Khamenei ha descritto l’attacco israeliano come un “crimine” e ha promesso una “punizione severa e inevitabile” per Tel Aviv, assicurando che “il braccio armato della Repubblica Islamica non li lascerà impuniti”. Il Presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha affermato che “il popolo e i funzionari iraniani non resteranno in silenzio” e che “la risposta legittima e potente dell’Iran farà rimpiangere al nemico le sue azioni folli”.
Nel frattempo, gli Stati Uniti si muovono nell’ambiguità. Hanno evacuato personale diplomatico dalle ambasciate in Medio Oriente, segnale inequivocabile di un conflitto previsto e accettato in anticipo. Donald Trump, pur senza dichiarazioni esplicite, aveva già fatto intendere che Israele avrebbe potuto agire. Eppure, il Segretario di Stato Marco Rubio ha affermato che “gli Stati Uniti non sono coinvolti negli attacchi”. Ma secondo quanto riportato dal Times of Israel, l’esercito israeliano sta coordinando le proprie operazioni con Washington.
Tutto ciò si svolge sullo sfondo del collasso definitivo dei finti negoziati sul nucleare. I colloqui, già in fase stagnante, sono crollati dopo l’ennesima richiesta statunitense di uno smantellamento completo e incondizionato del programma nucleare iraniano. Una richiesta tanto irrealistica quanto provocatoria, chiudendo la porta a ogni soluzione diplomatica.
Intanto, a Gaza il 70% della Striscia è diventata zona rossa e in Cisgiordania si torna ai tempi del lockdown
L’attacco coordinato contro l’Iran e il blackout telecomunicativo totale imposto su Gaza non sono eventi scollegati o casuali. Sono due facce della stessa strategia, parte di un disegno preciso, brutale e ben calcolato. Mentre Israele colpisce l’Iran con bombardamenti su larga scala contemporaneamente, a Gaza, taglia l’ultimo filo rimasto tra una popolazione assediata e il resto del mondo, spegnendo la luce, isolando 2 milioni di persone in un silenzio assoluto.
Il 13 giugno, portavoce dell'esercito israeliano, Avichay Adraee, ha emesso un ordine di evacuazione a tutti i residenti di Gaza, dichiarando oltre il 70% della Striscia come “zona pericolosa da combattimento” da cui i cittadini dovrebbero stare alla larga. Nella mappa, le aree rosse coprono la maggior parte della Striscia di Gaza, formando un'ampia fascia orizzontale che si estende per quasi tutta la regione da nord a sud, lasciando solo una strettissima fascia lungo la costa dove le persone possono attraversare.
Soltanto nelle ultime 24 ore l’esercito israeliano ha ucciso 72 palestinesi che si erano recati nei centri di distribuzione israelo-statunitensi per recuperare quel poco di aiuti umanitari a loro concessi.
Nella Cisgiordania occupata, le truppe israeliane sono scese nelle strade, hanno assediato città come Nablus e al-Khalil, e hanno preso d’assalto la moschea di al-Aqsa dopo la preghiera dell’alba, cacciando fedeli, chiudendo cancelli, sigillando e bloccando completamente l'accesso per la prima volta dall'inizio della pandemia di COVID-19.
I funzionari avvertono che l'azione fa parte di un'iniziativa di lunga data per dividere lo spazio della moschea e affermare il controllo israeliano sul complesso.
A cura di Wigdane Zniti
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